Intervento di Martino Ardigò. Vaccini ed immunità di gregge: l'imposizione del mercato come valore e le retoriche del bene comune

Martino Ardigò
28.03.2021

Grazie dell'invito, io ringrazio anche i relatori precedenti perché hanno introdotto molti dei temi che sono essenziali in questo dibattito internazionale. Ripeto anche quello che stava dicendo Agnoletto rispetto a Pfizer. Io lavoro con il ministero della salute brasiliano, è proprio vero che le [[cause]] della Pfizer sono state messe in questi termini, di accollare sullo Stato in un momento di difficoltà i costi sociali della pandemia. E in un primo momento Bolsonaro infatti si è rifiutato di comprare il vaccino; dopo, di fronte al ricatto dei morti anche lui è dovuto tornare indietro costruendo un altro tipo di percorso anche su pressione interna. Io direi che, come già espresso in maniera direi consistente, siamo ad un momento di svolta in cui realmente vediamo questo conflitto tra capitalismo e la sopravvivenza della nostra società e anche del nostro pianeta così come l'abbiamo conosciuta fino ad adesso. Penso questo sia un tema che non è sufficientemente dibattuto, e una delle questioni che, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto vista sociale, va rimessa in campo è l'esternalizzazione che il capitalismo fa rispetto ai costi della sua sopravvivenza, della sua reiterazione nelle azioni che compie sia all'interno del mercato sia nello spazio sociale, ecologico in cui poi si muove. E penso che questo sia abbastanza visibile nella logica di produrre prodotti che devono essere venduti, devono essere salvaguardati sul mercato che non sono in grado di risolvere la pandemia in sé ma anche in generale di produrre salute della comunità; e dall'altra parte la richiesta alla società di farsi carico di alcune azioni che poi paga - non solo in termini economici, ma paga anche in termini di vite vissute per cercare di rendere più sopportabile il peso della pandemia o delle altre minacce alla salute che gravano sulla nostra società.

Dico questo perché, da un lato come brillantemente hanno detto tutti i relatori precedenti, noi abbiamo un prodotto che è il vaccino che deve essere salvaguardato perché è importante salvaguardare il profitto - in un contesto dove è moralmente affermata l'idea che va salvaguardato il mercato, va salvaguardato il privato, vanno salvaguardati i beni di questi privati, va salvaguardato il loro guadagno; e dall'altra parte i costi di questa salvaguardia devono essere pagati alla società attraverso, per esempio, la costruzione di quei beni comuni che sono le protezioni di gregge, la diminuzione della proliferazione del virus attraverso l'utilizzo della maschera, l'utilizzo dei lockdown, delle misure restrittive che hanno non solo un peso economico sulla popolazione che le vive ma anche un peso sociale, un peso psicologico, un peso individuale, una minaccia all'esistenza stessa delle persone che per lungo periodo devono recludersi.

Giustamente Agnoletto prima diceva: è stato sviluppato un vaccino che dovrebbe entrare sul mercato per evitare che le persone gravi si aggravino a livello di ospedalizzarsi, perché tutta la partita del controllo invece del virus deve essere lasciata al lockdown. Deve essere lasciata alle persone che devono stare a casa, devono sospendere le loro vite e che devono produrre un bene comune. E qui viene una riflessione su come è possibile in un contesto in cui la retorica del guadagno, la produzione del guadagno, del lucro, del privato, del privato come profitto sia un valore affermato e difeso a livello legislativo, a livello di costruzione comunitaria, di costruzione di senso, di costruzione culturale e dall'altro la richiesta, anzi l'accusa alla popolazione di questo contesto sociale di non essere abbastanza solidale, di non partecipare alla costruzione del bene comune. Bene, questo secondo me è uno degli altri punti in cui le retoriche sulla produzione del bene comune mostrano un'aggressività nell'esternalizzazione dei costi sociali del capitalismo, [che] ha la richiesta di consumare anche i beni prodotti attraverso la partecipazione comunitaria. E questo come una forma aggressiva, incolpando le vittime di questi processi di esser[n]e invece i riproduttori. E questa retorica è perfettamente installata nel contesto del nostro quotidiano, è un'altra forma di victim blaming, di non essere soddisfatti di pagare economicamente attraverso il malfunzionamento dello Stato, della cosa pubblica, ma il tentativo di accaparrarsi quell'altra dimensione di cosa pubblica che è quello che viene prodotto attraverso il bene comune.

Adesso in questa riflessione (molto schiettamente discutendo da medico di salute pubblica che lavora sul territorio allo sviluppo di servizi di primary healthcare, quindi molto ancorati alla comunità e alla produzione di salute all'interno del territorio) si fa fatica a entrare in una comunità chiedendo la produzione di beni che potevano essere espropriati, se questa comunità è stata abituata al fatto che la produzione di bene comune è sempre più una minaccia allo status quo, viene repressa.

La logica di produzione dei beni comuni (per esempio di Riace con il suo smantellamento nella scorsa legislatura come un disvalore prodotto), tutta la logica del legalismo e dello smantellamento dei luoghi dove la comunità produce beni comuni perché sono occupati perché sono spazi che non sono a norma di legge, tutta la disarticolazione dei luoghi fisici della società (dove si può costruire una consapevolezza di comunità - come per esempio all'interno della scuola, ma anche all'interno dell'università dove gli spazi non sono più spazi che possono essere utilizzati, per esempio dagli studenti, dai ricercatori per poter fare delle attività; ma devono essere riservati alla produzione di articoli, di brevetti, dove la produzione per esempio della ricerca scientifica deve essere organizzata secondo le regole che portano alla progressione competitiva dei ricercatori con la pubblicazione su riviste che sono private, in cui il ricercatore paga per poter pubblicare e la comunità paga per poter leggere l'articolo, eccetera); ecco, in questo contesto penso che arrivare e dire a una comunità: "utilizza la maschera e stà in casa" sia la produzione di una retorica che non ha molto diciamo la possibilità di funzionare. Perché in un contesto in cui la produzione di bene comune è stata sistematicamente prodotta come disvalore, come qualcosa che non è coltivato fin da quando gli attori di questa comunità partecipano alle attività educative nella scuola e all'interno del percorso che loro continuano durante il resto della loro vita.

Penso che questo sia uno degli ostacoli più grandi, e che la necessità di ricostruire questo tessuto di cooperazione che porta alla produzione di beni comuni anche all'interno del campo della salute si scontri necessariamente con la necessità di proteggere dall'esternalizzazione capitalista questi beni che vengono prodotti. Sono sospette parole come capitale sociale, welfare di comunità, quando vengono utilizzate dicendo "ah, ma il cittadino ha l'obbligo di produrle", soprattutto quando non ci sono le strategie di salvaguardia. Penso come contributo che questo sia quello che mi sento di portare dal campo di lavoro. Io in questo momento sto lavorando nel contesto brasiliano, in cui vengono collocati in conflitto, continuamente, i diritti. Come diritto alla salute, diritto al lavoro, diritto all'esistenza, diritto al reddito; e vengono poi costruite strategie di victim blaming quando, attraverso queste strategie competitive, non si riesce né a controllare la pandemia, né a controllare il dilagare della povertà, il dilagare della disoccupazione, il dilagare di una disgregazione sociale.
Articoli consigliati

Ti consigliamo questi articoli