Per un nuovo Servizio Universale e Gratuito alla Salute e alla Cura, intervento di Elisabetta Papini

Elisabetta Papini
28.03.2021

Grazie. Vi ringrazio molto, questo convegno mi sembra veramente ricco. Uno si prepara alla relazione, si prepara l'intervento e poi però quando ascolta gli altri è stimolato su molte altre cose. Penso che la ricchezza di un convegno generi anche questo. Quindi sicuramente gli interventi che mi hanno preceduto ma anche le persone che parleranno dopo le ritrovo e le ho ritrovate in una lotta che stiamo facendo insieme e che appunto dobbiamo ricominciare, forse: ricominciare a lottare per un nuovo servizio universale e gratuito alla salute e alla cura. Io sono vicepresidente di questa associazione che è nata nel 2017 dall’iniziativa di operatori sanitari, di attivisti politici, di movimenti di lotta per la salute e di cittadini organizzati, motivato proprio dal fatto che c’è stato piano piano negli anni uno smantellamento del servizio sanitario nazionale, non dichiarato esplicitamente ma grave. Sono anche un’infermiera dirigente e lavoro in una casa di cura di riabilitazione accreditata. Lavoro in quella parte di sanità che, se fatta bene dopo un evento acuto, non dovrebbe far tornare in ospedale. Ma è anche quella parte privata accreditata, quindi non totalmente pubblica. E il covid è stato un rilevatore che ha esasperato le ingiustizie e le inuguaglianze esistenti che denunciamo da tempo. Ho vissuto con rabbia e fatica questo tempo perché faccio parte di quelle donne che costituiscono i due terzi del personale del Servizio Sanitario Nazionale. Il 66% sono donne che hanno vissuto in prima persona questa crisi, facendo anche tutto l’altro lavoro. Save The Children ha parlato di “equilibriste”. E anch'io lo faccio. Ho tantissime colleghe che fanno il lavoro normale in sanità con il covid in prima linea e poi tornano a casa a fare le maestre, le mamme le badanti. Le donne hanno rappresentato la maggior parte delle morti in sanità in questo tempo.
 
La pandemia è una sindemia, perché è da tempo che noi diciamo che i pazienti che arrivano in riabilitazione dopo un evento acuto sono persone complessissime, con pluripatologie. E a questo non si risponde con un’adeguata risposta assistenziale, a partire dai livelli organizzativi, dalle piante organiche e da quello che adesso proverò a spiegare, ma di cui ha già parlato in parte Giuseppe Graziano. Se l’emergenza è stata sanitaria e della cura, da questo dobbiamo ripartire. Con alcune compagnie femministe abbiamo detto che tornare alla normalità non è più possibile, perché la normalità è stato il problema. E bisogna riappropriarci soprattutto di alcune parole.
 
La parola innanzitutto “servizio” perché oggi sempre in maniera più subdola e arrogante - e dobbiamo fare attenzione anche noi - si parla non più di servizio sanitario nazionale, ma di sistema; di sistema perché si vuole intendere un misto tra pubblico e privato. Ma non rivendichiamo questa parola “servizio” perché significa che le risorse pubbliche devono garantirlo, e devono garantirlo sempre. Non è vero questo discorso sulle risorse per cui non c’è disponibilità economica. In realtà noi ci siamo messi veramente a studiare seriamente, abbiamo interrogato esperti su questo. Respingiamo il pensiero unico che in questi anni ci ha fatto credere che le risorse non ci fossero e che il libero mercato sarebbe stata l’unica soluzione per ottimizzare le risorse del sistema. Com'è possibile che le risorse monetarie ed economiche finiscano quando sono un'invenzione dell'uomo? Quando sono create dall’uomo stesso? E da femminista direi - quando sono create da un sistema di produzione e riproduzione di stampo patriarcale? Com'è possibile questo? Com’è possibile che continuiamo a pagare un debito pubblico e a pagare gli interessi più alti del debito stesso? Com’è possibile? Non riusciremo mai. Nella storia degli uomini per esempio il debito è stato abolito, come dopo la seconda guerra mondiale con la Germania.
 
Un'altra parola di cui si dobbiamo riappropriare è la parola “pubblico”, perché oggi in regioni come la Lombardia, il Lazio, l’Emilia Romagna – l’hanno spiegato bene Giuseppe Graziano e Chiara Giorgi – la sanità accreditata è in mano per oltre il 50% al privato. Un privato che sostiene e dice che senza di esso il pubblico non può esistere, e che dice di fare un servizio pubblico meglio del pubblico. Ma non è che fa questo servizio con proprie risorse, no! Lo fa con rimesse pubbliche prova a fare un servizio pubblico; ma non lo fa, perché è una scusa per continuare a fare privato e lo chiama “privato sociale”. Non c’è quell’appuntamento del pubblico? Bene, lo può fare col privato sociale; un privato che ha quasi lo stesso prezzo del pubblico. Ma su questo ci trae profitto, un profitto che non viene redistribuito nel servizio pubblico. Nella stessa sanità pubblica però si impongono logiche privatistiche. Basta pensare alla libera professione intra ed extra lunaria, all’intramoenia, che fanno credere di abbattere le liste d’attesa quando non è vero. Cosa simile, la snaturazione di questa parola avviene anche nella scuola, nell’istruzione.
 
Ci dobbiamo riappropriare anche della parola nazionale, perché oggi con la modifica del Titolo V della costituzione il servizio sanitario non è più nazionale ma è ragionale, e questo ha portato a delle grosse differenze di servizio fra le regioni, tra nord e sud. Non solo: ma possiamo ancora pensare, dopo una pandemia di questo tipo, a un discorso nazionale? Il discorso sulla salute, come diceva Lavinia all’inizio che ha citato l’OMS sul discorso alla salute, deve essere globale. Deve essere universale, internazionale. Deve essere ripensato anche un organismo come l’OMS. Si prendono in considerazione le grandi associazioni, giustamente mediche, come la CDC di Atlanta, l'American Heart Association, e poi però non c'è una politica internazionale sulla salute, quando la salute è quella parte che veramente ci portiamo dentro da quando nasciamo a quanto moriamo.
 
È vero: è con le lotte del movimento femminista e del movimento operaio e sindacale che si sono tenute le conquiste del welfare del servizio sanitario nazionale come spiegava Chiara Giorgi. Si sono messe in discussione le istituzioni totali come il manicomio, sono nati i consultori, la legge 194: questa è stata la lotta per il servizio sanitario nazionale. Il primo attacco a questo sistema è stato negli anni ’90 in cui il servizio sanitario ha subito un progressivo depauperamento delle risorse. Il processo è iniziato con la legge 52 del 92 con il ministro del partito liberale italiano – politiche neoliberali, o neoliberiste come le chiamiamo oggi, come diceva Giuseppe - De Lorenzo: l'unico partito che aveva votato in Parlamento contro la 833. Gli abbiamo dato in mano la riforma della sanità, che non è stata una riforma! Come dice Cavicchi, ha portato a delle controriforme. Ha portato all’obbligo di pareggio del bilancio e la figura monocratica del direttore generale che ha portato a mancanza di democrazia proprio nelle ASL.
 
Allora le proposte quali sono? Io penso che innanzitutto non ci bastano 19 miliardi del Recovery Plan. Bisogna incrementare progressivamente nei prossimi 4 anni il fondo sanitario nazionale di almeno 40 miliardi. Bisogna procedere subito – l’abbiamo visto – con un sistema industriale distributivo pubblico del farmaco, dei vaccini e dei sistemi diagnostici. Bisogna ripensare l'ospedale - cosa mai fatta prima – come dice sempre Cavicchi. C’è bisogno di riconvertire la spesa sanitaria, spostandola dagli ospedali al territorio, di una ristrutturazione ecologica e - questo è molto importante – di una messa in sicurezza. Vorrei fare un appello: il raddoppio degli organici – lo abbiamo detto – il ruolo che devono avere i consultori e tutta la medicina del territorio. Abbiamo tante altre proposte. Invece, una proposta se vorrei fare è proprio questa: siccome siamo un gruppo che, vi ringrazio, avete riunito con molta intelligenza e anche grande ricchezza, per una nuova lotta per il servizio sanitario nazionale penso invece che ci sia bisogno di unire e convergere le lotte e le vertenze che portiamo avanti, a livello nazionale. Questo non significa essere unanimi e annullare le differenze, assolutamente no. Ma vedo che c’è convergenza invece nell’unirci nel portare le nostre lotte, perché in questo si è riusciti veramente ad ottenere tanto negli anni 70. C'è un nuovo inizio da fare.
 
Articoli consigliati

Ti consigliamo questi articoli