Ciao a tutti e tutte sono Mauro Pedone. Sono un ex lavoratore di questo ospedale Maria Adelaide di Torino che è stato chiuso esattamente cinque anni fa. Noi come lavoratori e lavoratrici del Maria Adelaide già all'epoca ci opponemmo alla chiusura di questo ospedale organizzandoci all'interno di un comitato che, appunto, era composto sia da lavoratrici e lavoratori, ma anche da cittadini e compagni del territorio dove è inserito questo ospedale. Ci organizziamo raccogliendo delle firme, facendo manifestazioni, petizioni, interpellanze e quant'altro per cercare di non farlo chiudere. La nostra lotta è durata almeno tre anni e diciamo che purtroppo l'abbiamo persa, nel senso che non siamo riusciti a evitare la chiusura. Riuscimmo solo a strappare un accordo che però era, diciamo, un accordo solo orale sul fatto che quell'ospedale comunque non dovesse perdere la destinazione d'uso di servizio sanitario, ma doveva essere trasformato da ospedale in un presidio sanitario territoriale, ovvero all'epoca si parlava appunto di Casa della Salute. Ma dopo cinque anni di chiusura tutto questo non è avvenuto, anzi. Sono stati fatti dei passi nella direzione opposta. Il primo passo è stato quello di cambiare la destinazione d'uso, e noi almeno su questo ci siamo ritrovati insieme con altri compagni, collettivi e comitati presenti nel territorio per impedire che questo avvenisse. E in effetti questo siamo riusciti a farlo. Il consiglio comunale nella discussione sulla variante del piano regolatore ha bocciato questo questo tipo di possibilità. Per cui questo è stato fatto. Pende ancora su questo ospedale il fatto che in realtà è stato messo in vendita. È stato messo in vendita verso il privato convenzionato da una parte e dall'altra invece ci sarebbe anche la possibilità che all'interno di questo ospedale si costruisca uno studentato in vista delle universiadi che saranno fatte molto probabilmente a Torino nel 2025. Quindi noi rispetto a questa situazione ci siamo riorganizzati a livello territoriale e stiamo cercando appunto di impedire che avvenga questo.
Però non solo ci siamo ritrovati a discutere appunto per la riapertura di questo presidio sanitario, ma abbiamo cominciato anche a ragionare - avvalendoci anche dell'esperienza e della competenza di alcuni esperti - che cosa proporre per la riapertura di questo presidio. Ed è chiaro che in qualche modo il discorso verte soprattutto sulle cure primarie e quindi dei servizi territoriali, nonché di questa famosa casa della salute che ci avevano promesso e poi non hanno realizzato. E quindi abbiamo iniziato proprio a utilizzare queste competenze, anche attraverso dei processi di autoformazione, per scriverlo. Abbiamo scritto, abbiamo fatto un progetto che poi mandiamo sicuramente a chi ha organizzato questo convegno in maniera tale che si conosca. E poi soprattutto a questo punto chiederei, visto che ci sono delle competenze forse più grosse della mia o comunque mettendo insieme più competenze, se qualcuno vuole collaborare anche a darci dei consigli su come portarlo avanti: ben vengano! Soprattutto Cecilia Francini che ha parlato prima della Casa della Salute nella periferia di Firenze: potrebbe esserci ovviamente molto d'aiuto in questa in questa fase.
Ma quello che volevo ovviamente sottolineare è il fatto che noi ci siamo comunque ritrovati all'interno di quel territorio con diversi compagni, cittadini già presenti operanti sul territorio per iniziare a ragionare sul concetto di salute e su che cosa adesso è necessario proporre, anche in modo radicale e rivoluzionario come qualcuno ha ricordato. Perché noi pensiamo che non è che il sistema (vedete, “sistema”), il
servizio sanitario non fosse già in crisi prima della comparsa del covid, del contagio e della pandemia. Era già allo stremo, diciamocelo chiaramente. Non funzionava più: il problema degli organici come avete detto, delle liste d'attesa che di fatto impedivano l'accesso alle cure a milioni di italiani. Quindi noi abbiamo riipotizzato insomma un percorso di presa in carico a livello territoriale in cui però in qualche modo all'interno di una stessa struttura si possa riuscire a ricostruire tutto l'iter, tutto il processo, ovviamente non delle cure ad alta intensità o dell'emergenza che sono ovviamente delegate all'ospedale, ma tutto il resto riuscire a riorganizzarlo in uno stesso presidio. Quindi non solo le cure ma anche tutto il discorso della riabilitazione, della prevenzione, della salute mentale, dei consultori. Cioè, visto che comunque è una struttura abbastanza grande (sono 13mila metri quadrati), riuscire a pensare a un processo che dal medico di medicina generale fino all'assistenza domiciliare che va a casa del paziente, pensando anche a dei posti letto di continuità assistenziale e di riabilitazione, riesca in qualche modo a ricostruire tutto l'iter diciamo di presa in carico, di cura, di diagnosi e di assistenza che può andare incontro a quelli che sono i bisogni di salute di quel determinato territorio. Quindi è fondamentale, come diceva già qualcuno, anche un discorso dal punto di vista epidemiologico. In più, e concluderei, la cosa importante è che ci sia una partecipazione attiva di soggetti organizzati e che vogliono mettere in discussione il modello di salute - che comunque è andato in crisi proprio con questa pandemia - e che vogliono partecipare, quindi che abbiano la possibilità di partecipare, di stimolare quali sono le scelte più giuste da fare all'interno di questo presidio sanitario.
Vi ringrazio e ringrazio soprattutto il fatto che credo che questo tipo di convegno, come dire, io lo senta proprio vicino anche proprio per i contenuti che stanno emergendo. E quindi vi auguro effettivamente di poter organizzare un nuovo convegno e magari, appunto, un manifesto che racchiuda un po’ tutte le indicazioni che stanno emergendo con la prospettiva di costruire un movimento che possa magari esprimersi anche a livello nazionale con, non so, una manifestazione o con altre cose. Insomma che ci facciano rendere più visibili. Grazie.