Intervento di Cecilia Francini, MMG alla Casa della Salute Le Piagge di Firenze

Cecilia Francini
28.03.2021

Buongiorno e grazie per averci invitato. Io sono Cecilia Francini, sono un medico di famiglia che lavora all'interno di una Casa della Salute di una periferia disagiata dell'area fiorentina. Oggi il mio intervento vuole essere la condivisione di un'esperienza, che in realtà è un'esperienza felice e di lavoro in un contesto difficile di pandemia. La Casa della Salute dove lavoro è ubicata in quartiere periferico della periferia fiorentina e funziona da bacino di utenza per circa 30 mila persone. L’area è un quartiere fortemente deprivato, quindi analizzando i dati relativi alla mortalità e morbilità del quartiere ci siamo resi conto che è un'area dove le donne muoiono tre volte di più rispetto alle donne nell'area fiorentina, dove c'è un tasso di ricoveri e di ospedalizzazioni per malattie croniche molto più alto, dove il tasso di suicidi è altissimo ed è la zona a più alta concentrazione di videoterminale d'Itali. Quindi è una zona fortemente disagiata, deprivata, con indici di salute di gran lunga peggiori rispetto a quelli dell'area di Firenze. La Casa della Salute dove lavoro è una casa della salute complessa, come definito dalla normativa regionale, che vede al suo interno una lunga serie di servizi che vanno dalla figura nascente dell'infermiere di famiglia al dipartimento di salute mentale, ai consultori territoriali, agli specialisti, al servizio prelievi ed è la sede anche di molte associazioni del quartiere.
 
La medicina di gruppo, quindi noi come gruppo di medici di famiglia, ci inseriamo a gennaio del 2020 all'interno della Casa della Salute. In collaborazione con gli altri attori della Casa della Salute iniziamo a costruire un processo condiviso all'azienda sanitaria e basato essenzialmente su tre assi progettuali:
 
1) la creazione di un front office filtro triage per la casa della salute
 
2) l'attivazione di un processo di mappatura territoriale che ha previsto proprio la presenza e il contributo attivo di tantissimi giovani tesisti studenti che sono andati nel quartiere a riattivare una connessione, un legame, con le associazioni del quartiere, con singoli, con i singoli condomìni dell’edilizia popolare nel quale la Casa della Salute si trova
 
3) e poi il potenziamento della dell'equipe territoriale di riferimento attraverso la presenza dei tavoli di lavoro che hanno consentito un potenziamento del lavoro di equipe multidisciplinare, in particolar modo tra infermiere di famiglia, medico di famiglia, servizio di salute mentale e servizi sociali.
 
Il covid ci ha sorpreso all'interno di questo processo, quindi quando insieme agli altri attori abbiamo iniziato a ridare vita alla Casa della Salute che era già presente da tanti anni all'interno del quartiere. E ci ha sorpreso nella criticità e nella drammaticità della difficoltà di questo periodo. In realtà l'abitare una Casa della Salute ci ha permesso di non essere soli e ha permesso di far sì che questa esperienza di lavoro condiviso col territorio, sul territorio e all'interno dell'equipe territoriale avesse sicuramente un impatto forte nella qualità del nostro lavoro; ma anche nell'assistenza che abbiamo potuto portare agli utenti, in particolar modo agli utenti con realtà complesse, difficili e in condizioni di salute complesse.
 
 
Quindi, per questo io penso che la Casa della Salute siano un modello funzionante di lavoro territoriale, un modello che andrebbe potenziato, priorizzato all'interno dell'agenda del sistema sanitario nazionale. Le Case della Salute intese come center dell'equipe multidisciplinare di riferimento territoriale, che ha come core quella della figura nascente dell'infermiere di famiglia, del medico di famiglia ma anche dei servizi sociali territoriali; le Case della Salute come estensione sul territorio, dove fare prevenzione e promozione della salute in accordo e in concerto con le risorse presenti sul territorio, in base alle risorse e alle possibilità locali. Il sistema delle Case della Salute è un sistema a mio avviso funzionante, vincente, che ha un enorme potenziale ma che deve essere assolutamente supportato da una riforma delle cure primarie molto più radicale. Lavorare sul territorio significa infatti avere delle risorse umane sufficienti, quindi ad oggi soprattutto questa carenza di risorse umane si osserva non tanto nel personale medico ma soprattutto nel personale sociale e nel personale infermieristico. La nostra figura dell'infermiere di famiglia lavora con un bacino di utenza intollerabile, di oltre 4-5 mila pazienti, non tenendo conto di ferie, servizi, ecc. Quindi una riforma del territorio deve per forza dare vita a una riallocazione delle risorse anche sul territorio, in particolar modo gli infermieri, e di risorse sociali. Deve ridare vita a una formazione degli attori sul territorio perché chi lavora sul territorio deve avere una formazione adeguata per lavorare con la complessità e per lavorare in équipe multidisciplinare. Quindi si devono prevedere dei percorsi formativi di alto livello sia per medici di famiglia che per l'infermiere famiglia. E si deve superare la realtà complessa che è costituita dalla frammentazione dei servizi. A mio avviso una vera e propria riforma del territorio deve avere come base l’inserimento del medico di famiglia nella realtà del sistema sanitario nazionale: non può esserci una figura convenzionata che si trova a dover in qualche modo appaltare un servizio, ma deve essere parte integrante del sistema. Così come si sente in maniera forte anche la grandissima frammentazione di tutti quei servizi sociali e infermieristici che sono spesso appaltati alle cooperative. Quindi una vera riforma che parta dalla Casa della Salute deve anche far rientrare tutti quei servizi all'interno del sistema sanitario nazionale. Senza di questo le Case della Salute rimangono dei contenitori che pur magari in certi contesti possono essere dei contenitori virtuosi, però rimangono dei contenitori privi di energia e privi a lungo termine di risorse.
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